sabato 7 luglio 2012

Bea strikes back!


(Foto di un gattino per farmi perdonare per l' assenza)




Sono tornata a scrivere dopo troppo tempo! so che non ho scusanti per la mia assenza, quindi non mi scuserò per niente e passerò subito a scrivere, così inizio a recuperare!

Ho avuto un po' di problemi da risolvere e ho cambiato account perché l'altro si era riempito di spam e perché sentivo il bisogno di liberarmi di quello vecchio (un giorno magari vi racconterò la sua storia). Spero che Léu vi abbia intrattenuti a dovere durante la mia assenza!

Questo post è un off-topic, ovvero un post che non parla propriamente di poliamore né della mia vita amorosa (anche perché ultimamente va tutto a gonfie vele, cheppale vero? :P)
Quella di oggi è più che altro una riflessione su alcuni problemi di comunicazione/percezione che mi capita spesso di avere. E la comunicazione è uno strumento importante anche e soprattutto nelle relazioni poliamorose. Avviso ai naviganti: la prenderò mooooolto molto larga...

In questi giorni ho riflettuto molto su ciò che ero e su ciò che voglio diventare, e questo mi ha fatto riaffiorare molti ricordi.
Alle medie ero la classica ragazzina secchiona che nessuno si filava, ero timida e un po' impacciata, e non riuscivo a interessarmi propriamente ai ragazzi fighetti e un po' bulli definiti "popolari".
Risultato: in terza media più o meno tutti i ragazzi popolari erano stati fidanzati con tutte le ragazze popolari, secondo una qualche misteriosa turnazione non si sa bene decisa da chi, mentre io non ero mai stata con nessuno. 
Ricordo che uno di questi ragazzi popolari era particolarmente bulletto e molesto.  Veniva da fuori, non aveva fatto tutte le elementari con noi, ma si era "ambientato" (cioè imposto) quasi subito, ed era un buco nero di attenzione, oltre ad avere molti problemi di disciplina. Ma siccome le altre ragazze lo trovavano carino, lo sopportavano.
E io sopportavo di vederle tutte intente a sospirare per lui e a pendere dalle sue labbra.  Bleah!
L'ego di questo ragazzino era smisurato, si atteggiava a uomo di vita vissuta, e siccome veniva dalla Città, si permetteva di sputare sentenze e fare battute pesanti più o meno a caso su tutti gli insegnanti e i membri della classe, anche i più fragili. 
Ciò che di sicuro non riusciva ad accettare era che qualcuno non lo cagasse, e quindi io, che mi ritraevo per una normale reazione alla sua prepotenza, non ho mai legato con lui, né sono mai stata troppo presa di mira (perché si sa che, per quel tipo di ragazzi, se non reagisci non c'è gusto a infastidirti).
Vengo da un piccolo paesino, e dato che i giovani in campagna non hanno niente da fare e si annoiano facilmente, la droga scorre a fiumi. Alle medie già c'era qualche mio compagno di classe che fumava erba regolarmente. O almeno che si vantava (Uao, che vanto!) di farlo, ma non ho mai indagato sulla veridicità di tali asserzioni. 
Io alle medie giocavo ancora coi lego di Belleville, solitamente mandandoli in viaggi extradimensionali per sconfiggere la terribile minaccia cosmica delle streghe giganti -cioè le mie Barbie (Sì lo so suona ridicolo, ma capitemi! ero una bambina con tanta fantasia e pochi mezzi!) .
Insomma, per farla breve, ero troppo impegnata a salvare il mondo per pensare alle canne!


Ricordo che un giorno io, la mia Migliore Amica delle Medie e il Ragazzo Vissuto, eravamo dalle parti del cimitero a farci una passeggiata, e mentre lui si rollava una sigaretta e ci spiegava che fumava perché la sigaretta gli teneva compagnia, io lo guardavo disgustata.
Troppe erano state le lotte per ottenere (?) che un padre fumatore non fumasse in casa in mia assenza, per accettare che un ragazzo della mia età, ancora "salvabile", decidesse di ficcarsi nella stessa situazione di totale dipendenza da una sostanza cancerogena.
Lui dal nulla iniziò a prendermi per il culo: doveva avere notato il mio disgusto, e più in generale la mia noia e la mia indolenza nello stare lì con loro (dopotutto avevo pur sempre interrotto la mia missione per salvare il Mondo dalla Minaccia Barbie per stare lì a reggere il moccolo a loro due: un pischello che fumava "per la compagnia", e un'amica che molto probabilmente avrebbe preferito restare da sola con lui e spupazzarselo tutto).

A un certo punto, come spesso accadeva nella sua escalation di battutine, non riuscendo a controllarsi gliene è scappata una più grossa del solito: mi ha incalzata e, forse per commentare la mia flemma, ha tuonato "Minchia Bea, tu sei una di quelle persone che a 20 anni finiranno per ammazzarsi di pere!" o qualcosa del genere.

O_O

Io ho sgranato gli occhi. Non avevo mai sentito nessun bambino di 12-13 anni parlare di eroina. Le mie uniche fonti al riguardo erano i miei genitori, le pubblicità progresso, le voci di paese sul Tossico Del Paese, un personaggio macchiettistico sempre presente nel paesino di provincia dove sono cresciuta, e le canzoni degli 883 (Traispotting l' avrei visto solo qualche anno dopo al liceo, durante un' autogestione).
Ricordo che abbia vagamente tentato di sdrammatizzare dicendo "scherzavo!" e ridendo della mia faccia preoccupata, ma ormai era fatta: il suo commento mi aveva fatto molta impressione, e per molti anni mi è rimasto come una scheggia di granata nel cranio, scavandomi nel cervello il dubbio che potessi davvero essere così debole da lasciarmi tentare. 
In fondo io per tutti ero sempre stata quella depressa ed esaurita, quella che sveniva e faceva fatica a educazione fisica, quella che dormiva poco, quella che a ogni gita le veniva da piangere, quella che non diceva niente ai bulletti perché non si sapeva difendere. 
Forse il Ragazzo Vissuto aveva ragione, forse lui sapeva come vanno queste cose, visto che veniva dalla Città e ne aveva viste più di tutti noi messi insieme. Forse dovevo correre ai ripari prima che fosse tardi. 
Ehi, no ma, un momento. Stiamo parlando di un ragazzino di 13 anni... Che cazzo ne sapeva, lui, di com'è fatta la gente che si fa le pere?? 
Lì fu confermato il mio dubbio che il suo carattere prepotente e il suo bisogno di attenzione fossero un sintomo di problemi in famiglia. Problemi belli grossi, viste le tematiche di suo interesse. 

Nella mia mente si era fatta strada una doppia consapevolezza, il dubbio di una certezza, quello che io chiamo un "pensiero-ombra": se c'era tra noi due un individuo fragile che rischiava di "rimanerci", quello era lui.

Sono molti quelli della nostra generazione che "non ce l'hanno fatta": Alcuni sono finiti davvero a farsi le pere,  altri hanno optato per la cocaina, che è più socialmente accettata e viene usata per reggere i ritmi frenetici di certi lavori e di certi contesti sociali, altri sono finiti in brutti giri e sono dei similteppisti mezzicriminali, altri semplicemente hanno visti infranti i loro sogni di successo, e sono finiti a fare gli operai , o si sono aperti un negozio coi soldi del nonno, o si sono sposati e sono diventati la brutta copia dei loro genitori. 
I più fortunati ora hanno un lavoro banale e stabile quanto la crisi gli permette di esserlo,  una serie di mutui e debiti da pagare per permettersi dei lussi che non hanno il tempo di godersi, e una famiglia che può parare loro il culo in caso di bisogno.
Io, come tutti i gatti che si rispettino, mi sono trovata un bipede che mi dà latte fresco tutti i giorni.


Dopo le medie non ho quasi mai più rivisto quel Ragazzo Vissuto. Solo un giorno, mentre mi rilassavo un po' all' ipercoop con la mia Migliore Amica del Liceo, ho incrociato lui e suo fratello, che sfortunatamente mi hanno riconosciuta.

Dico sfortunatamente, perché con una rapidità fenomenale siamo passati dai convenevoli, tipo "ciao, allora, come va! quanto tempo!" a lui che per qualche motivo trovava divertente prendermi in giro per il fatto che alle medie mi piaceva Enya (in realtà mi piace ancora, l'intero filone new age e soprattutto le colonne sonore mi aiutano a veicolare i pensieri quando dipingo, solo che con l'avvento di internet ascolto sempre meno musica che già conosco e sempre più musica "nuova" in streaming).

Insomma sembrava il solito pagliaccio di sempre, non ci avrei trovato niente di strano, se non per il fatto che stava urlando in pieno centro commerciale, attirando gli sguardi di tutti e anche un po' d' odio dei passanti infastiditi, lasciandosi andare in una serie di -chiamiamole frasi ? -decisamente sconnesse, usando un tono offensivo e mimando il tutto con una serie di movenze teatrali esageratamente concitate. Sembrava Ace Ventura sotto amfetamine.

O_o

"Di cosa ti sei fatto?" gli ho detto con tono neutro e con la mia tipica smorfia a labbro mezzo alzato e sopracciglio inarcato. 
Non so perché l' ho detto. Non avevo mai avuto esperianza diretta di drogati, all'epoca, e avevo solo un vago sospetto che quelli potessero essere gli effetti di una sostanza X . Non avevo nessuna prova per dire una cosa del genere, né sapevo che una frase del genere è spesso sufficiente a innescare una reazione violenta in molti tossici (un po' come chiedere a una ragazza nervosa se ha le mestruazioni), eppure la frase mi è uscita dalla bocca in maniera del tutto naturale ed istintiva, al punto che mi sono fatta impressione da sola. 
Eppure non avevo pensato male di lui. Non l' ho detto per rispondergli male né per zittirlo, e non era neanche per ridere. Ero seria come non lo ero mai stata nella mia adolescenza. Ed ero preoccupata per lui. E iniziavo a provare un vago disagio anche per me e la mia amica.
La mia faccia bruciava, le orecchie erano bollenti, ma non era imbarazzo né fastidio, non erano le solite sensazioni che di solito quel ragazzo era in grado di suscitarmi, quando mi mancava di rispetto. 
Avevo i brividi lungo la schiena. Avvertivo che lui non era in sé, e che qualcosa di più grande di lui lo aveva portato via, e anche se eravamo in un centro commerciale affollato in pieno giorno, quella cosa invisibile a occhio nudo ci minacciava tutti. Come in quei film catastrofici in cui sai che il virus letale può essere veicolati da uno starnuto, e il tizio vicino a te improvvisamente inizia a starnutire. Volevo andare via di lì, ma allo stesso tempo volevo restare lì con lui, parlargli, dirgli "ma che cazzo ti stai facendo??".
Mi sentivo come una madre che pizzica il figlio ubriaco per la prima volta, e rimane delusa di lui e di sé stessa, per non avere fatto bene il suo lavoro.
Se ci pensate ha un che di assurdo, visto che io non sono responsabile per la vita degli altri. Eppure continuavo a sentirmi responsabile. Pensavo di dover fare qualcosa. Pensavo di potere. Mi illudevo di potere.
Il Ragazzo Vissuto era caduto anche lui in quel mondo arido, che tristezza. 

O forse era così già dalle medie. 
Forse lo è sempre stato, e lo ha nascosto così bene da fregarci tutti.

Il mio "Di cosa ti sei fatto?" ha subito fatto raggelare il fratello e l'amico del Ragazzo Vissuto, mentre lui ha continuato a blaterare come se niente fosse, come se non mi avesse neanche sentita.
Suo fratello, che era sempre stato quello meno popolare, ma anche il più tranquillo e il più simpatico dei due, mi ha mormorato piano "no, lascialo perdere, non lo fa apposta" o qualcosa del genere, volgendo lo sguardo altrove in preda all' imbarazzo.
E se lo è portato via, come si fa con i bambini Down quando si eccitano troppo.


Io ero perplessa. Il mio sguardo perso nel vuoto, il cono gelato fragola e limone che mi colava sulla mano. 
Tutto qui? Il Ragazzo Vissuto si era lanciato in una profezia auto-avverante, era questo ciò a cui avevo assistito al cimitero, anni prima?

Da grande poi avrei capito che lui ha sempre fatto quello che molti adulti ancora fanno in maniera totalmente infantile e che non si accorgono di fare: proiettare.
Lui si sentiva segnato, si identificava in me per il mio disagio, che però aveva origini diverse dal suo, e splaf! mi ha appiccicato addosso le sue pare. Sembra moscia e depressa: inserire etichetta "PERA" qui.

Il meccanismo della proiezione psicologica funziona un po' come lo "specchio riflesso" dei bambini,  se escludiamo la poco edificante parte del "chi lo guarda va nel cesso".

Le persone ti guardano, credono di averti inquadrato, ma invece stanno parlando di sé.
E tu puoi lasciarle parlare, criticare, sfogarsi, e capire molto di loro.


Noterete subito uno degli effetti collaterali più mostruosi di questa pratica: tutti proiettano, e tutti possono dirti che stai solo proiettando, e quindi è come mettersi in mezzo a due specchi: si può avere una spirale infinita di proiezioni, in entrambi i sensi e da entrambe le parti. E non se ne esce più.
Da questo meccanismo di difesa umano, innato e quindi presente in tutti, nascono diversi problemi dati dall' incapacità a un'educazione comunicativa e percettiva adeguata tipica della nostra società.  Citerò solo i due più ricorrenti nella mia vita, anche se sono sicura che siano molti di più...
Problema 1: come faccio a distinguere un' opinione oggettiva da una proiezione, negli altri?
 

Io parto sempre dal fatto che nessuno è esente dal cadere in questo tranello. Non esistono persone che abbiano il totale controllo del proprio subconscio, e quindi non prendo mai l'opinione di nessuno per oro colato, la prendo per quello che è: un' opinione. E le opinioni sono tali perché opinabili.
Per quanto riguarda opinioni sbagliate che le persone possono essersi fatte su di noi, come ad esempio il Ragazzo Vissuto che mi dà della futura tossica, sulla base delle sue impressioni superficiali... allora sta a me decidere:
a) se la sua opinione cosa mi crea o meno problemi, e perché.
b) se e come ho intenzione di dimostrare il contrario.

(Paradossalmente, quella frase che all' epoca mi sembrava così campata in aria ora mi sembra uno dei trucchetti di psicologia inversa meglio architettati nella storia della mia vita, visto che ora sono la persona meno interessata agli stupefacenti che io conosca!)

E se non sono sicura che la mia opinione sia del tutto oggettiva e priva di "impurità" della mia spazzatura inconscia, io di solito lo ammetto. Non c'è niente di male ad ammettere i propri limiti, di tanto in tanto!

Problema 2: ... E se sono abbastanza sicura di parlare in maniera onesta e oggettiva, ma vengo comunque "accusata" di proiettare?
è sempre difficile dare un'opinione spassionata a una persona che non vi vuole ascoltare, specie se la persona in questione ha rudimenti di psicologia sufficenti da sapere come prendere uno specchio e usarlo per accecarvi con il suo riflesso. Benvenuti nel magico mondo 

NOTA BENE: La cosa importante in questi casi è ricordarsi che, per quanto duramente possiate venire aggrediti verbalmente, l' altra persona ha probabilmente reagito male perché sta panicando per i fatti suoi, quindi anche se sembra essersela presa con voi, non abbiatene a male, c'è più paura che cattiveria, nelle sue parole.
E non è un esercizio di autocompiacimento, è la triste realtà.
Questo è il motivo per cui mi sento di sconsigliare le persone che vogliono aiutare gli altri senza accettare che di tanto in tanto gli altri possano girarsi e dar loro un mozzicone:
Una Guardia Forestale non dovrebbe soccorrere a mani nude una piccola volpe ferita se non ha fatto il richiamo dell' antirabica, né una persona dovrebbe tuffarsi in mare per salvare uno che sta affogando se non ha un brevetto da bagnino.
Quindi attrettatevi. Non fate come me! eheh...


Il mio approccio con questo tipo di persone è di tipo fallimentare, perché io per correttezza inizio sempre tutti i miei discorsi puntualizzando che si tratta di mie opinioni, frutto della mia esperienza, cosa che loro cercano di usare contro di me guarda caso solo quando l'outcome della discussione li infastidisce, sulla base del fatto che la mia opinione è frutto della mia esperienza e non della loro (eh grazie al cazzo!) e che quindi non è un'opinione legittima perché non può applicarsi al loro vissuto. Quindi sulla base di queste premesse, nessuno in realtà può veramente dare consigli o avere opinioni? Sono confusa...
Nel fare questo, le persone deviano la discussione verso una sorta di limbo, che per comodità chiameremo meta-discussione. Queste vengono spesso usate nei dibattiti per mettere "fuori uso" un' argomentazione, a differenza delle descussioni, in cui le argomentazioni di tutti vengono ascoltate e si arriva a un punto d' incontro. Ho letto un articolo molto interessante al riguardo proprio ieri, lo trovate qui.
La meta-discussione è una discussione sul modo in cui la discussione è stata portata avanti fino ad ora (non sto scherzando!) allo scopo di cercare falle di tipo logico, linguistico, terminologico che (secondo chi la avvia) andrebbero a costituire prova sufficiente per invalidare il discorso venuto fuori nella precedente discussione di due ore. 
Discorso che in realtà non ha mai necessitato di nessun tipo di validazione, visto che comunque fin dall' inizio io avevo portato come mia personale interpretazione dei fatti e non avevo innalzato a verità assoluta. Insomma, se non ti piace, non darmi retta e morta lì, no?
Per capirci, è lo stesso espediente usato dai troll online quando il flame sarebbe lì lì per esaurirsi, e la gente si attacca al modo di scrivere ( le k piuttosto che l'apostrofo al posto sbagliato o l' uso del congiuntivo) perché i contenuti del tread sono ormai morti da un pezzo e han lasciato il posto a odio e anarchia verbale.
Volendo ci sarebbe anche da fare  un parallelo con l'espediente narrativo del "ah ma era tutto un sogno, quindi un' ora di film non è mai avvenuta!" in quanto a senso di inutilità che queste meta-discussioni lasciano all' interlocutore. 
Oppure il parallelo del "credevo di amarti, ma era tutto finto!" , usato anch'esso come espediente narrativo nelle soap opera più squallide, o nella vita reale per svicolarsi da una relazione-tampone (altrettanto squallide). Ma non voglio forzare troppo il discorso né andare off-topic dal mio post off-topic, se no potrei generare un buco nero. O un'emicrania.

Come avrete già intuito, io trovo del tutto inutili e sconfortanti le meta-discussioni.
La loro unica utilità è farmi capire se la persona ha davvero interesse a sentire cosa ho da dirle, o se ha solo voglia di creare un monologo in cui lei parla e voi ascoltate passivamente per dimostrare a sé stessa che "ha ragione" (concetto questo a me alieno: non esiste "avere ragione" , esistono una serie di opinioni più o meno discordanti tra di loro. In alcuni casi specifici, come in un tribunale, diverse persone sentono le varie parti in causa e decidono "da che parte stare" . il verdetto non è mai una decisione piovuta dal cielo data da un'autorità assoluta, ma è sempre frutto di un compromesso. Quindi "avere ragione" secondo determinati valori etico-morali non garantisce né che la legge ci darà ragione, né che gli altri siano obbligati ad ascoltarci e a darci retta. Serve solo, il più delle volte, a gratificare l' ego di chi sente il bisogno di essere validato).

Insomma, se l' interlocutore ingaggia in una metadiscussione sui modi e tempi della discussione e ignora i contenuti della stessa, o la butta sulla dicotomia "avere ragione vs. avere torto", io di solito mi defilo e vado a fare cose più costruttive, tipo osservare per ore il mio pesce rosso che boccheggia (abbiamo una mini-acquaponica! più informazioni in un futuro post). 

Purtroppo non potrò mai dare opinioni o consigli che non siano schietti,scomodi, irritanti e puzzolenti, e ciò implica un margine di rischio di rimanere delusi, offesi o asfissiati, soprattutto se si è particolarmente suscettibili o permalosi su un dato soggetto che si ha particolarmente a cuore.
O se si hanno manie di protagonismo e deliri paranoidi, anche questa è un' opzione...


L'ultima cosa che voglio è ferire gli altri - anzi no è la penultima, l'ultima è essere obbligata a fare cose che non mi va di fare, tipo scrivere regolarmente su 'sto cazzo di blog, mannaggia a Leu che lo ha resuscitato!
 Ma l' ultimissima cosa che voglio è raccontare balle o "indorare la pillola", quindi vorrei cogliere l' occasione per chiedere a chiunque mi contatterà in futuro di tenerlo bene a mente, e di interpellarmi per le loro questioni personali solo se sono in grado di sopportare la mia risposta senza prenderla troppo sul personale.

Riassuntino: Non fatemi domande di cui non potete sopportare la risposta, altrimenti subentra il pesce rosso.

Bentornata a me!

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