martedì 1 febbraio 2011

Un posto da chiamare casa



Cresci pensando che sarai sempre seconda, perché hai un fratello che per te è tutto e che ti dice stupida, e quindi se lo dice lui dev' essere per forza vero. Gli unici che ti considerano intelligente sono i tuoi insegnanti, e così gli altri bambini ti odiano perché li fai sentire inferiori.
Diventi la cocchina della maestra senza neanche accorgertene.

Cresci sola, preferisci giocare per i cazzi tuoi e inventare avventure da mettere su carta. I tuoi pastelli danno vita al mondo che hai dentro. Un mondo che nessuno può portarti via o giudicare.

Cresci pensando che diventerai un'artista, e che potrai fare quello che vuoi, perché nessuno ti vuole dottore, o maestra, o avvocato, o sposata e con tanti marmocchi: i tuoi genitori ti amano per quello che sei: intelligente, timida, permalosa e un po' eccentrica.

Cresci al fianco di un padre smanettone, sempre attaccato ai computer come a una fonte di sostentamento perenne. Non capisci sempre tutto di quello che digita oltre quel “C:\”, ma ti piace assisterlo e poter dare una mando a smontare e rimontare, quando serve. Come tutte le bambine curiose ti piace imparare da lui, renderlo orgoglioso, anche se la tecnologia non può sostituire il grande amore per l'arte e per i libri, che divori avidamente.

Pensi di essere la ragazzina più fortunata del mondo, perché hai dei genitori che non ti obbligano ad andare a catechismo, a messa e altre cazzate, e ti hanno sempre insegnato a pensare con la tua testa. Ti hanno insegnato il valore della parola “responsabilità”, ma ti hanno anche trasmesso un senso di leggerezza e un umorismo che salverebbe chiunque in tempo di crisi, senza mai dimenticare l' altruismo e la solidarietà. Ti hanno insegnato a fidarti del genere umano, e a diffidare degli sconosciuti.

Poi un giorno tutto crolla nel giro di una manciata di secondi.

Un abuso sessuale di tipo incestuoso, lo chiamano gli esperti.

Un tradimento. Un infanticidio. E' quello che è per te, mentre tuo padre ti porta via tutto quello in cui fino ad allora avevi creduto. Tutto quello che ti era stato insegnato.

Il giorno dopo si fa finta di niente.
Sei in apnea, ancora non riesci a credere a cosa sia successo.
Pensi che avrai quindici anni tra pochi mesi, e che la tua vita non doveva andare così.
Ti chiedi cosa devi fare adesso, mentre ti senti soffocare.

Ti senti sporca.
Ti senti un mostro.
Un pezzo di te muore per sempre.
Cerchi di salvarne il ricordo mettendolo nelle pagine di un diario.
Cerchi di salvare almeno la prova della sua morte.

Vedi la bambina che eri che si allontana in silenzio, un silenzio di mille cuori spezzati che ti assorda e rende impossibile ascoltare tutto il resto.

Smetti di sognare, smetti di pensare a cosa farai da grande. Smetti di dipingere, di studiare, di dare soddisfazione agli insegnanti. Diventi una qualunque ragazzina problematica.

Affondi pian piano nelle sabbie mobili. Non guardi più quando attraversi la strada, non hai più paura di morire o di ferire gli altri. Non chiami mai aiuto, vuoi mettere gli altri alla prova: vuoi sapere chi verrà a salvarti.

C'è sempre tuo padre, con te. Ma invece di chiedere aiuto per voi, invece di chiedere scusa, ti chiede preoccupato come stai, con voce tremante e uno sguardo colpevole e pieno di vergogna. Non si sta preoccupando per te: ha paura per sé stesso.

Vuole assicurarsi che non farai scenate, che nessuno saprà mai cosa ti ha fatto.
Ti dice che tua madre ha capito tutto, perché ha letto sul tuo diario cosa è successo,e ti chiede di smettere di scrivere. Invece di tenderti una mano, ti spinge più a fondo nelle sabbie mobili per non dover affrontare le sue responsabilità. Ti chiede se per favore puoi affondare da sola.

Te lo chiede con tono gentile, mentre ti accompagna a scuola, mano nella mano.
Un diario scomodo, il tuo. Una prova di vigliaccheria paterna.
Eccolo lì:
Un estraneo. Un padre.

Tua madre non vuole denunciare. Ti porta tutte le settimane da una psicologa. Per il tuo bene, dice. Gli amori vanno e vengono, ma ciò che lega una madre ai suoi figli è per sempre, dice.
Tu vedi solo l'assenza di una denuncia. Omertà, che brutta parola.

Alla fine è la psicologa a dirti che coprire un abuso di minore non rientra nel segreto professionale.
E' la psicologa, alla fine, a convincere mia madre che non ha altra scelta. Così lei, controvoglia, ti ci porta.
La deposizione, il processo, il patteggiamento per una riduzione della pena. E' l'unico motivo per cui tuo padre ammetterà mai di averti fatto del male.

E poi l'adolescenza.
La lotta per sentirti "normale", malgrado tutto.
La scoperta del sesso, il piacere nello smontare i pregiudizi e le paure del mondo. E le tue con esse.

La ricerca di una nuova stabilità e di equilibrio.
Dover essere sempre forte...
Sola contro tutti.
Un guscio sempre più venato,
Un buco nero che ti divora da dentro.
Una casa senza fondamenta.

Vedere da fuori le famiglie degli altri, e non capire cosa sia andato storto nella tua.
Imparare a non lasciarsi mai toccare, soprattutto da chi ti piace,perché fa troppo male,
e non parlare mai di te:
Tenersi tutto dentro.
Avere paura di tutto.
Passare da un rapporto problematico all' altro
Da un ragazzo immaturo all' altro.
Da una persona disfunzionale all' altra.

Dall'essere usata all'essere respinta.
Stanca di essere troppo,
stanca di non essere abbastanza,
stanca di non andare mai bene,
di essere sempre solo "quasi adatta".

Restare a galla nelle sabbie mobili.
Avere paura del buio a vent'anni, perché è nel buio che tuo padre ti ha preso l' anima.
Avere paura del proprio salotto. Di tornare dal liceo e trovarlo in casa a riparare qualcosa, "perché non possiamo permetterci un tecnico" dice la mamma.
Odiare la tua vita e la tua casa.

Andare avanti, sempre e comunque andare avanti, contare sempre e solo su te stessa, diffidare di tutto e di tutti,specie di chi ti ama, perché il troppo amore soffoca, e perché chi ti ama mente sempre "per il tuo bene"...

Un bel giorno non reggi più e te ne vai, senza guardarti indietro.
Prendi piccole boccate d'aria fresca: amici e amori.
Persone che ti vedono per ciò che sei, e ti accettano.
O almeno così tu credi...

La scoperta della libertà e della felicità.
Poi la gelosia e l' incomprensione
il mobbing
i giudizi della gente
E poi ti dicono che, dopo anni che cerchi di non odiare il tuo corpo, è il tuo corpo che odia te, e si ammala.

Provi solo dolore.
Ti portano via in barella.
L'ospedale, gli aghi, le urla incessanti dei neonati, i medici per cui sei una paziente come tante.
Una sfilata di estranei di cui devi fidarti, a cui devi lasciare esaminare e toccare il tuo corpo.
Volerti solo chiudere in bagno, sederti da sola, in silenzio, essere lasciata in pace da tutti...

...e poi arriva Moreno.

Una mano calda, una spalla su cui riposare.
Un paio di braccia forti che ti avvolgono.
Potrò fidarmi?Sarò capace di lasciarmi andare?
Sarà un bene abbassare la guardia?

E poi, una casa. Un letto.
Musica che viene da un computer, profumo di cibo buono, come quello che faceva la tua mamma quando cucinava fischiettando.

E poi Thomas.
Ridere insieme delle nostre scorregge sotto le coperte, parlare fino alle 5 di notte,
sentire il battito dei nostri cuori.
Giocare insieme al pc.

Avere di nuovo voglia di dipingere, di cantare, di sognare.
Guardarsi negli occhi, e non ricordare com'era stare l'uno senza l'altro.
Avere la sensazione di amarsi da prima ancora di conoscersi.

Eccoti lì. Di nuovo in una casa buia. Un altro soffitto scuro, ma non hai più paura del buio.
C'è rumore di gatti che mangiano, e un ragazzo caldo accanto a te che russa come un cinghiale.
E' un posto morbido e tiepido, che ti accoglie in sé.
Un posto da cui nessuno ti manderà via all' improvviso.
Un posto in cui non sia più necessario chiudersi da sola in camera per non sentire le litigate, o per paura di incrociare il mostro che ha divorato mio padre e che ne ha preso il posto.
Dove posso essere me stessa.
Dove nessuno mi minaccia e mi fa paura.
Dove non sarò mai usata da nessuno.
Dove mi sento di nuovo utile e importante.
Dove potrò invecchiare felicemente.

Un posto in cui nessuno può entrare senza il mio permesso.
Un posto da cui non sarò costretta a scappare, perché qui sono benvenuta, e nessuno mi farà più del male.

Ecco un nuovo posto da chiamare "casa".

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